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Il mio Parco W

La prima volta che ho visitato il Parco Nazionale W è stato nel 2002; da allora ci sono stato altre 2 volte, sempre partendo da Niamey, la capitale del Niger. Il W è un Parco transnazionale situato ai confini tra Niger, Benin e Burkina Faso; il nome deriva da una tripla ansa del fiume Niger, che disegna una gigantesca W in mezzo a una tipica savana sudanese-saheliana intatta, con praterie, terreni arbustivi, savane boscate e foreste a galleria. Assieme ai confinanti parchi di Arly (Burkina Faso) e di Pendjari (Benin), e alle zone di caccia di Koakrana e Kourtiagou (Burkina Faso) e Konkombri e Mékrou (Benin), il W fa parte del più grande e importante continuum di ecosistemi terrestri, semi-acquatici e acquatici nella fascia della savana dell’Africa occidentale. La superficie totale è di 1.714.831 ettari e dal 1996 questo insieme di aree protette è entrato nella lista del Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO. Qui è stata tutelata e ancora vive la più grande popolazione di elefanti dell’Africa occidentale oltre a numerosi grandi mammiferi tipici della regione come il lamantino africano, il ghepardo, il leone e il leopardo.
La prima vista al W fu poco più che una rapida escursione durante un week-end. Ricordo ancora il viaggio di 4 ore da Niamey a La Tapoa, il lodge all’ingresso del parco in stile “la mia Africa”, ma già allora un po’ abbandonato a sé stesso. Nessun turista, niente elettricità, zanzare e birra calda; in compenso, una vista spettacolare e sulla savana. Il giorno dopo una visita giù al grande fiume e poi ritorno in serata a Niamey: un mordi e fuggi che mi ha lasciato un grande desiderio di tornare e visitarlo con calma. Cosa che è capitata nel 2005 e poi nel 2014, durante una delle ultime uscite “sicure” in Niger. Da allora, la sicurezza nel Paese è diventata precaria, così come la sopravvivenza del W. Sebbene dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, questa regione ha sofferto di una storica mancanza di risorse gestionali e finanziarie. L’aumento della popolazione e il crescente estremismo militante hanno fortemente compromesso le risorse naturali del parco e la sua stessa sopravvivenza. Da alcuni anni i jihadisti saheliani hanno occupato la zona trasformandola in un trampolino di lancio per l’espansione verso la savana dell’Africa occidentale. La loro presenza sta interrompendo gli sforzi di conservazione e i mezzi di sussistenza locali, alimentando le lotte tra agricoltori sedentari e pastori nomadi per la terra e l’acqua.
Nel 2018 due gruppi – il Katiba Ansarul Islam e il Katiba Serma – hanno fatto irruzione nel parco ottenendo il controllo di una vastissima area, reclutando nuovi affiliati tra i giovani e i pastori che, illegalmente, portano le mandrie nel parco.
Negli ultimi anni i jihadisti hanno riempito le loro casse tassando l’estrazione artigianale dell’oro intorno al parco e commerciando mandrie di bestiame, oltre a contrabbandare varie merci. Nella periferia del parco è stata imposta la loro interpretazione della Sharia, in particolare sulle donne, alle quali è stato vietato di uscire da sole e costringendo molte ragazze minorenni a sposarsi.
Le autorità dei tre paesi hanno fatto sforzi enormi – con il sostegno di partner stranieri – per fermare l’avanzata dei militanti e per alleviare i conflitti sulle risorse naturali all’interno e intorno al parco attraverso azioni militari, il miglioramento dei meccanismi di sorveglianza e di antibracconaggio, la risoluzione dei conflitti per le risorse. Per garantire la conservazione di fauna e flora è stata rafforzata la capacità del personale dirigente del parco e sono stati lanciati dei programmi per coinvolgere le comunità locali adottando misure per fermare l’espansione dei terreni agricoli nel parco, nonché per delimitare i pascoli, i corridoi di transumanza e le aree di riposo per il bestiame. I risultati, purtroppo, non hanno soddisfatto le aspettative. Oggi il parco resta un luogo minacciato, pericoloso e chiuso al pubblico; il suo futuro, assieme a quello di gran parte di questa regione – dove il CISAO ha svolto molta della sua attività di cooperazione – è decisamente poco roseo. Riguardando le fotografie dei miei viaggi sono contento di averlo visto, anche se un po’ superficialmente; resta il desiderio e la speranza di tornare per la quarta volta, ma anche la paura di non trovare più quella natura e e quell’atmosfera così magica.

Prof. Riccardo Fortina