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Un’alternativa endogena allo sviluppo:
l’esempio di Niahène, Senegal.

Dagli anni ’80 in poi i paesi dell’Africa sub-sahariana si sono distinti per l’applicazione dei cosiddetti Programmi di Aggiustamento Strutturale (PAS) proposti dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale. Un complesso di riforme neoliberali che ha ridotto i poteri dello stato liberalizzando i mercati e privatizzando le principali istituzioni agricole, da quel momento sempre più dipendenti dalle dinamiche internazionali.

In Senegal l’agricoltura familiare, motore dell’economia, si è gradualmente impoverita con ripercussioni dirette sulle donne che, nonostante il loro ruolo attivo e principale nella attività di produzione agricola, hanno subito l’aumento del divario sociale ed economico.  Come risposta al progressivo ritiro dello Stato le agricoltrici iniziano a riunirsi in organizzazioni legislativamente riconosciute per mettere insieme le risorse a disposizione e aiutarsi vicendevolmente in un’ottica di economia solidale. Tra tutte, la forma associativa prediletta è quella del GIE (Gruppo di Interesse Economico) che consente al gruppo di donne di avere personalità giuridica, di svolgere attività economiche generatrici di reddito e di avere agevolazioni nell’accesso al credito presso istituti di finanza (accesso respingente per via degli interessi troppo elevati rispetto alle disponibilità economiche delle donne).

Nella regione interna di Kaffrine, in Senegal, vi è un villaggio di circa tredicimila anime che prende il nome di Niahène, con un’economia che si fonda e si sviluppa sull’agricoltura e nello specifico sulla coltivazione dell’arachide. In quest’area rurale del Senegal le donne, agricoltrici e non, si sono riunite in numerosi GIE sviluppando un modello virtuoso di autonomia finanziaria e avanzando nella diminuzione del divario sociale ed economico. Nello specifico le donne di Niahène esplicano un’azione collettiva, propria ai singoli GIE e in seno agli stessi, nella gestione di diverse attività due tra le quali hanno una rilevanza estremamente importante nel percorso di emancipazione: la gestione di orti comunitari e i gruppi interni di risparmio e credito.

Gli orti comunitari vengono definiti tali perché della loro gestione si condivide tutto, dalle lavorazioni alla semina alla raccolta alla vendita. Il loro utilizzo ricade inoltre sull’intera annualità grazie a bacini di raccolta delle acque piovane, e in alcuni casi a pozzi, presenti negli stessi. La possibilità di un uso costante degli orti le svincola dalla forte stagionalità meteorologica del luogo (stagione piovosa che va da giugno a ottobre e stagione secca che va da novembre a maggio) consentendo alle donne di rimediare alla propria sussistenza e a quella delle proprie famiglie, nonché dell’intera comunità, in contemporanea alle entrate economiche derivate dalla vendita dei prodotti nei mercati locali. Un’attività generatrice di reddito che si configura in una strategia propositiva nell’affermazione delle donne nel settore agricolo e che consente di affrontare un percorso tale da renderle economicamente e socialmente autonome. Da poco più di un anno, inoltre, le donne che gestiscono i vari orti comunitari, in rappresentanza degli stessi, in seno ai propri GIE di appartenenza hanno deciso di formare un ulteriore GIE, la Federazione Bokk Jomm (“Essere Insieme con Coraggio” in lingua wolof). Grazie alla Federazione è stata consolidata una precedente delibera comunale su un appezzamento di 2 ha a nord di Niahène prendendosi carico della gestione completa dello stesso. Adesso, aderendo alla Federazione, cioè previo pagamento di una quota associativa, è possibile avere accesso a una parcella (tanto in forma individuale quanto comunitaria), accedere a un sistema di risparmio e credito interno, armonizzare i prezzi di vendita dei prodotti orticoli, facilitare la condivisione di informazioni e conoscenze in campo agricolo, ottenere input agricoli e aumentare la possibilità di finanziamento di ogni gruppo aderente. Tutto ciò corrobora l’unione tra le donne e contribuisce ulteriormente al superamento di una disparità sistemica con una strategia che agisce in termini di governance sia politica che sociale.

Vi sono poi i gruppi di risparmio e credito interni a ogni GIE. Tale attività assume le caratteristiche di una pratica solidale alternativa alla canonica pratica economica. Essa si configura in un’azione collettiva autogestita che, valorizzando democrazia e solidarietà, consente alle donne di combattere l’esclusione sociale allocando le proprie risorse economiche in un fondo di risparmio proprio del GIE. Il gruppo di risparmio e credito si caratterizza per il proprio potenziale multidimensionale. Le donne che vi partecipano vedono da un lato il miglioramento delle proprie condizioni di vita attraverso lo sviluppo di un’autonomia economica e dall’altro l’affermarsi a livello sociale, rappresentando un esempio per la comunità. Con un incontro settimanale le donne versano una quota che contribuisce alla formazione di una cassa di risparmio. Sulla base di quanto versato è possibile richiedere dei micro-prestiti per poter portare avanti altre attività generatrici di reddito proprie del GIE e/o esterne allo stesso così da poter avere entrate tali da poter, oltre che guadagnare qualcosa, restituire la quota presa in prestito maggiorata di un piccolo interesse proporzionato. Alla fine dell’anno il contenuto della cassa di risparmio viene redistribuito alle donne con una particolarità e cioè che gli interessi presenti, a differenza delle quote versate settimanalmente, verranno equamente spartiti tra i membri del gruppo di risparmio e credito. Questo meccanismo riconosce una logica che va oltre il profitto e che si configura nel bene comune la cui gestione rispecchia il contesto locale ed è mirata a perseguire un obiettivo condiviso. La gestione del risparmio può essere così intesa come una risorsa collettiva auto-gestita comunitariamente che costituisce un ulteriore strategia nella promozione dell’emancipazione delle donne determinando un miglioramento della condizione socio-economica che a sua volta riduce le disuguaglianze di genere.

Il modello di Niahène appena descritto rappresenta una forma di sviluppo endogeno che va oltre le imposizioni neoliberali e si adatta alle stesse. Nel complesso riproduce una strategia di resilienza che si pone come alternativa alla proposta di liberalizzazione del settore agricolo senegalese che a livello accademico si identifica già come una Nuova Rivoluzione Verde che sta attuandosi in Africa. E’ quindi grazie a iniziative comunitarie come quella sviluppatasi a Niahène che il territorio può essere gestito diversamente e nell’interesse della collettività con uno sguardo e un’azione che si origina dalle donne e vive per le donne stesse migliorandone le condizioni e guardando a un’autonomia che riduce sempre più il divario sociale ed economico.